giovedì 7 novembre 2013

Il ventennio berlusconiano: una breve sintesi



Tante cose vengono dette e ripetute a proposito dell'epoca berlusconiana, eppure mi sembra che l'elemento che la contraddistingue sia sempre ignorato. Quell'elemento risiede nel termine "libertà" che compare nel nome del partito: la domanda fondamentale che dobbiamo porci è "che libertà è quella del Popolo della Libertà"?

La tendenza politico-culturale del nostro tempo spinge verso l'estraniazione dalla sfera politica, per trovare rifugio una sfera privata cui il benessere del nostro secolo ha dato mille comodità, mille piaceri, addirittura la possibilità attraverso internet e la TV di avere un contatto con il mondo, senza essere realmente nel mondo. La destra in questi anni ha colto perfettamente questa tendenza, l'ha incentivata e l'ha spinta fino alle conseguenze più dannose per lo Stato. L'italiano non vuole semplicemente godere in pace nella propria casa, vuole godere in pace libero dalle leggi, dai vincoli della burocrazia, dalle esigenze della comunità. Berlusconi ha stretto un nuovo contratto sociale, se così lo si può definire: "lasciatemi compiere tutte le malefatte di cui sono capace, corrompere giudici, evadere il fisco, stringere patti con la mafia; in cambio del vostro silenzio io vi esonererò dalla necessità di uscire di casa e condurre la macchina statale, anzi questa macchina statale cercherò di ingolfare e danneggiare in ogni occasione. Lasciatemi libero di corrompere, e potrete farlo anche voi; lasciatemi libero di evadere, e potrete farlo anche voi; lasciatemi libero dai vincoli della legge, e lo sarete anche voi". 

Un contratto sociale che ha distrutto tutti i legami della società, in nome di una libertà che non saprei come definire se non come "anarchica". Qui il paradosso più grande, ma che forse è un paradosso soltanto per chi non è calato all'interno di questa mentalità: il voto dato al leader autorevole, al capo di un esercito parlamentare di mussoliniana memoria, è un voto dato all'anarchia.

venerdì 27 settembre 2013

L'inopportunità di Barilla sulla comunità LGBT



Guido Barilla, noto industriale italiano, intervistato a "La Zanzara", ha affermato: 

"
Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. 
Se i gay non sono d'accordo, possono sempre mangiare la pasta di un'altra marca. Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri"

(Per chi volesse sentire l'intervista completa, rimando a: http://www.youtube.com/watch?v=lshUnKkNH5A
).


Personalmente, trovo l’affermazioni di Barilla totalmenta inopportuna. Non è questione di condividere o meno la sua posizione, e neppure di mettere in discussione la libertà di pensiero e di parola.

E’ questione solo ed unicamente di opportunità.

Mi spiego: fosse una opinione scambiata a cena con i parenti, o al mulino con Banderas, nessun problema; si tratterebbe di una personalissima opinione fatta in un contesto privato, opinione condivisibile o meno, ma rispettabile. Nessuno intende mettere in discussione la libertà individuale di espressione delle proprie idee.
Tuttavia, nel momento in cui decide di esprimere quella stessa opinione a “La Zanzara”, programma oltretutto noto per la sua capacità di diffusione di gaffes, Barilla ha ampiamente scavalcato il limite che delimita l’ambito privato: si trova completamente immerso nell'ambito pubblico, e “fa politica”, volente o nolente, che ne sia consapevole o meno. Fa politica perché esprime un messaggio molto chiaro sulla società, che arriva agli orecchi di milioni di persone e che è in grado di modificare le loro opinioni.

Quando parlo di “inopportunità”, mi riferisco proprio a questo: in un Stato in cui la legislazione civile non tutela i diritti della società LGBT, ed in un contesto sociale in cui l’omosessualità è ancora percepita con sospetto, diffidenza e disprezzo, le parole di Barilla non si limitano ad esprimere la politica pubblicitaria della sua azienda, ma hanno grande influenza sulla mentalità della popolazione: portano acqua al mulino dell’omofobia, accrescono nei tradizionalisti la convinzione delle proprie idee, e di conseguenza il partito del “no ai diritti ai gay” si accresce nel numero dei suoi aderenti e nella forza del suo messaggio.

Barilla, in altre parole, non si limita a fornire informazioni sui contenuti delle proprie pubblicità, ma (probabilmente senza rendersene conto) irrompe con decisione nel dibattito pubblico sui diritti alla società LGBT.

Chiedo: abbiamo bisogno, in un paese che ha estrema difficoltà a civilizzarsi e ad accettare la diversità sessuale, di queste prese di posizione da parte di personaggi potenti ed influenti? La mia risposta è no.

Tutti sono liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri", ha affermato Barilla. 
Ecco, caro Barilla, sei in contraddizione con te stesso. Con le tue parole hai portato acqua al mulino del “no ai diritti alla società LGBT”. Non hai soltanto “infastidito” la comunità dei gay, hai fatto qualcosa di molto più grave: hai contribuito a disseminare di ostacoli il percorso dell’eguaglianza nella società italiana.

martedì 20 agosto 2013

"Blurred Lines" di Robin Thicke, o "La società occidentale"




Il testo parla da sé, ed è inutile commentarlo (qui potete leggere il testo tradotto). Ma il video, se possibile, fa anche meglio. Ritratto migliore della società occidentale attuale non si poteva realizzare.
Ci riferiamo, ovviamente, alla hit di questa estate, da oltre due mesi al primo posto nelle classifiche pop:
"Blurred Lines", di Robin Thicke ft. T.I., Pharrel.

(Guarda il video)

Nessun dettaglio è lasciato al caso: ogni elemento del video ha un preciso significato, è un simbolo.
C'è tutto: il maschio dominante con il suo "kit da caccia" a base di occhiali ed abiti tamarri; la donna semi-nuda costretta a starnazzare (in silenzio) per avere un ruolo di co-protagonista; la donna che presta servizio (e pongo l'attenzione sull'etimologia di "servizio", da "servire, servitù") all'uomo accendendogli la sigaretta (con un accendino rigorosamente enorme e falliforme, ovvio), uomo che poi le soffia il fumo in faccia, facendola tossire (quale rappresentazione migliore dell'abuso legittimato?); l'uomo che si prepara un cocktail a base di Remy Martin V, per chi non lo sapesse l'ultimo "modello" di Cognac realizzato dall'antico brand Remy Martin (come a dire: "siamo fighi e all'ultima moda anche in quello che beviamo"). Significativi anche gli abiti delle modelle nel video, a base di plastica da confezione, collane d'oro e scarpe rigorosamente altissime: così come troviamo i prodotti impacchettati nei supermercati, decorati con qualche dettaglio accattivante, abbiamo anche le donne-oggetto bell'e pronte ad essere utilizzate, con un paio di collane a fornirgli valore. Come a dire: il valore non è nella donna, ma in quello che (non) ha addosso, nel modo in cui si comporta con il maschio; e le scarpe alte stanno a significare il supporto necessario (funzionale all'aspetto, ovvio) alla donna per essere ai livelli del maschio.

Insomma, un riassunto della mentalità capitalista e sessista ai massimi livelli: l'uomo intraprendente vincente e la donna oggetto da selezionare sugli scaffali dei grandi magazzini della società.
A proposito: nel video compare anche un agnello, a ricordarci che questa visione "maschiocratica" viene perfettamente legittimata dal cattolicesimo.

mercoledì 15 maggio 2013

L'incoerenza di Casaggì: squadrismo no, squadrismo sì



Stamattina nel polo universitario di Novoli ci sono stati scontri tra militanti di Casaggì e del Collettivo di Scienze Politiche. Questo il comunicato emesso dal blog ufficiale di Casaggì:

"CASAGGì: SCONTRI AL POLO DI NOVOLI PER ELEZIONI UNIVERSITARIE.
CINQUANTA MILITANTI DELLA SINISTRA ANTAGONISTA ARMATI DI CASCHI E CATENE AGGREDISCONO SETTE MILITANTI DI CASAGGì. FAR-WEST DI MEZZOGIORNO TRA CENTINAIA DI STUDENTI. GLI AGGRESSORI, QUASI TUTTI ARMATI, HANNO AULE CONCESSE DAL RETTORE E HANNO CONVOCATO SERVIZI D’ORDINE ESTERNI ALL’UNIVERSITA’. UN FERITO ACCERTATO TRA I NOSTRI ATTIVISTI E LA CERTEZZACHE CONTINUEREMO A DIFENDERE LE NOSTRE IDEE E I NOSTRI DIRITTI A QUALSIASI COSTO."


Mi permetto di spendere due righe sull’evento.

Cari militanti di Casaggì, desidero esprimere piena solidarietà per quanto vi è successo. L'azione squadrista è una modalità orribile dell’attività politica, e quando un gruppo (a prescindere dal colore) si esprime con la violenza non si può che esprimere profonda solidarietà nei confronti delle vittime.
Tuttavia, cari militanti di Casaggì: quando vi trovate in una situazione come quella odierna, ricordatevi che il periodo storico ed il movimento che sostenete, inneggiate e cercate di portare alla ribalta storica utilizzava esattamente questi metodi violenti e squadristi, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
Per quanto indubbiamente si condannino azioni come queste, non ci si può che vedere tanta, troppa contraddizione: vi lamentate delle azioni squadriste proprio voi che il 25 aprile siete andati a portare fiori sulle tombe dei caduti della Repubblica Sociale di Salò, ovvero sulle tombe chi faceva dell'azione squadrista e della violenza il suo metodo politico ordinario e quotidiano.
Bene, benissimo condannare lo squadrismo: ma allora si dimostri coerenza, e si condanni lo squadrismo di ogni epoca storica: non solo quello che si subisce il giorno 15 maggio 2013 da parte della “sinistra antagonista”.
Non mi sembra, sinceramente, che lo facciate, quando salutate “alla romana” e esponete simboli fascisti.
Non lamentatevi se vi succedono cose che quelle odierne: e' purtroppo la diretta conseguenza delle opinioni storico-politiche che sostenete.



venerdì 3 maggio 2013

No ai diritti ai gay: perché?



Il 23 Aprile 2013 l'Assemblea Nazionale francese ha ufficialmente dato il via libera, con 331 voti a favore e 225 contrari, al provvedimento che legalizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l'adozione da parte di famiglie composte da coniugi omosessuali.
I partiti di opposizione hanno immediatamente annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale; in piazza, a Parigi, si sono verificati scontri tra manifestanti e forze dell'ordine, dopo giorni di mobilitazione popolare per affermare il "no" alle nozze gay.

Non è che uno (certo, forse il più eclatante) degli eventi che hanno riacceso il dibattito sulla legittimità dei matrimoni tra omosessuali. Il mondo conservatore, non solo francese, ribadisce continuamente la propria assoluta contrarietà nei confronti delle nozze gay (per non parlare delle adozioni): in base a che argomenti lo fa? 
In questo articolo ci proponiamo di analizzare le argomentazioni "tipo" del conservatore doc a sostegno del proprio rifiuto nei confronti dei matrimoni omosessuali; la discussione relativa al tema delle adozioni è rimandata ad un'altra sede, in quanto estremamente più lunga e complessa.

Premessa: l'espressione "conservatore doc" non vuole avere alcun significato dispregiativo. Utilizzo tale espressione per indicare una sorta di "minimo comun denominatore" della mentalità conservatrice.

Gli argomenti solitamente proposti dal conservatore doc sono due, il secondo dei quali a sua volta ramificato in due ulteriori argomentazioni:
- perdita dell'identità culturale nazionale, imperniata su nuclei familiari composti da individui di sesso opposto; - "innaturalità" del matrimonio gay, conseguente alla 1. "innaturalità" dell'omosessualità; 2. concezione del matrimonio come "unione coniugale con fine riproduttivo".

Analizziamo nel dettaglio questi argomenti, valutando quanto effettivamente contengano di vero e quanto invece derivi da pregiudizi (in larga parte religiosi) sulla natura dell'uomo, della società e della realtà.

Per quanto riguarda il primo argomento, secondo il conservatore doc la legalizzazione dei matrimoni tra omosessuali porterebbe alla perdita dell'identità culturale, incentrata su famiglie "tradizionali": la motivazione principale per negare agli omosessuali la possibilità di sposarsi, dunque, deriverebbe dal semplice fatto che "nel passato ciò non era possibile". Che dire, il più chiaro manifesto del conservatorismo: perché dire di no alla "novità"? perché è innovativa!
E' evidente come questo in realtà non sia un "argomento" nel vero senso della parola, ossia una motivazione reale e persuasiva, ma soltanto una presa di posizione (a prescindere) del tutto immotivata, o meglio: motivata da una implicita "sacralizzazione" ed assolutizzazione della tradizione. E' tutto da dimostrare, tuttavia, che la tradizione sia "sacra" (qualsiasi cosa questo voglia dire), assoluta e da difendere ad ogni costo. Il conservatore doc, in questo senso, ci deve spiegare su che basi afferma la "sacralità" della tradizione: in altri termini, su che base afferma che l'assetto tradizionale di una società sia l'Assetto (con la "a" maiuscola) della società in generale. Dare una risposta soddisfacente a tale questione è molto complesso: di fatto, due millenni di riflessione filosofica non ci sono riusciti. E' la vecchia storia della nietzscheana "morte di Dio": una volta compreso che la concezione religiosa tradizionale non è una lettura della "trama del cosmo", non è la Verità con la "v" maiuscola, per intenderci,  ma soltanto una personale posizione sulla realtà (un semplice punto di vista, insomma), affermare che l'assetto di una società rispecchia l'ordine delle cose (naturale o voluto da Dio, è indifferente) risulta impossibile.
Di conseguenza, la posizione intellettualmente più onesta che possiamo e dobbiamo assumere, pena l'affermazione di tesi infondate, è una posizione laica: la società ha il particolare assetto che ha non perché tale assetto rispecchia un qualche ordine inscritto nell'universo o voluto da Dio, ma "perché gli uomini hanno deciso così". L'assetto della società, con tutti i suoi costumi e le sue "istituzioni" (nel senso di modelli di comportamento che si sono affermati nel tempo divenendo la normale vita quotidiana delle persone) non è qualcosa di "oggettivo", bensì di "convenzionale": il fatto che in un Paese vigano determinate usanze ed istituzioni è un fatto che deriva dalla combinazione di fattori sia storico-geografici sia casuali. Pertanto, la tradizione deve essere concepita come una entità generatasi casualmente, in base alle condizioni storico-geografiche di un dato paese ed alle necessità di una data popolazione, ed aperta a modificazioni: non certo come un qualcosa di assoluto e dato una volta per tutte. Chi afferma che la tradizione deve essere difesa a tutti i costi, semplicemente perché "è la tradizione", lo fa senza fornire giustificazioni valide. 

(Intendiamoci: difendere la tradizione per interessi personali, economici o politici che siano, come nel caso dell'opposizione all'abolizione della schiavitù, non è una giustificazione valida. Qui stiamo parlando di prese di posizione sulla base di un ragionamento imparziale, politicamente neutro: e non sulla base di prese di posizione, appunto, "politiche". Si può benissimo dire che "difendo la tradizione e rifiuto i matrimoni gay perché così voglio che sia la società in cui vivo", ma in tal caso bisogna avere l'onestà intellettuale di dire che si tratta di una posizione personale dettata dalla propria visione del mondo, e non dalla difesa di un ordine "oggettivo"; che tale imposizione del proprio punto di vista agli altri sia qualcosa di illegittimo è un altro conto, di cui discuteremo più avanti nell'articolo).

Il mio punto di vista, formulato sulla base di una prospettiva laica ed utilitarista sulla società, è che la tradizione non deve essere una "maglia di forza", bensì un sostegno utile ai cittadini. La tradizione, cioè, deve costituire un elemento accomunante, una sorta di "focolare" comune intorno a cui si raccoglie l'unità di un paese: e non deve certo essere un fattore discriminatorio e negatore di diritti ad una minoranza dei cittadini. I tempi cambiano, e con essi le esigenze e le rivendicazioni degli uomini; se la nostra identità culturale cristiana ci porta a negare diritti fondamentali a dei concittadini, la cui unica "colpa" è avere un orientamento sessuale difforme dalla media, è sicuramente una identità culturale non libertaria da rifiutare e combattere con tutte le forze. 


Per quanto riguarda il secondo argomento: il conservatore doc rifiuta la possibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso sulla base di due argomentazioni: la prima è che un matrimonio di questo tipo viene meno allo scopo "riproduttivo" che, a suo parere, l'unione coniugale dovrebbe avere; la seconda è che l'omosessualità è un orientamento sessuale "innaturale", una sorta di patologia psicofisica dell'individuo.

Vengo immediatamente a questa seconda argomentazione, così da sbarazzarcene una volta per tutte: l'omosessualità non è una malattia, ma un orientamento sessuale congenito di individui di qualsiasi specie, sia umana che animale. Negli ultimi quindici anni sono stati trovati fenomeni omosessuali in 1500 specie animali (per chi volesse farsi un'idea più precisa, rimando a questo link): alla faccia della "innaturalità" dell'omosessualità! 
E' inevitabile, perciò, chiedersi quale significato il conservatore doc dia al termine "natura", e che cosa di conseguenza interpreti come "naturale" e "innaturale". Viene da sé che "naturale" non può che significare "esistente in natura, intrinseco all'ordine delle cose": l'omosessualità, in questa prospettiva, è un fenomeno perfettamente "normale", in quanto è un orientamento sessuale che, appunto, si ritrova in natura; e la ricerca scientifica sta giungendo a dimostrare che l'orientamento sessuale di un individuo deriva dalla sua conformazione genetica, e che pertanto è una semplice configurazione di geni a determinare se egli avrà gusti "etero" o "omo". L'omosessualità, in poche parole, non è dovuta ad un malfunzionamento dell'organismo o ad una patologia psicologica, ma alla conformazione genetica. Cosa c'è di più "naturale" del DNA?

Tuttavia, il conservatore doc ignora tutto ciò, ed impone alla realtà il suo concetto di "natura", basato su un pregiudizio di derivazione religiosa. Quando afferma il carattere "innaturale" o, peggio, patologico dell'omosessualità, il conservatore doc manifesta la mentalità religiosa e dogmatica più spicciola, che assume come "naturale" ciò che è scritto nella Bibbia e tramandato dagli avi. Tuttavia, si tratta di un pregiudizio, un pericoloso pregiudizio, privo di fondamento reale e scientifico.

Tornando alla prima argomentazione: il conservatore doc è fermamente convinto che il matrimonio sia una istituzione finalizzata alla procreazione, e che dunque due persone omosessuali, impossibilitate a generare figli (per ovvie cause biologiche), non abbiano diritto a sposarsi.
Che dire, allora, di tutte quelle persone non feconde a causa di malattie congenite, o che semplicemente non vogliono avere figli per una scelta di vita? Non hanno forse anch'esse diritto a sposarsi? Immagino che il conservatore doc non gli negherebbe questa possibilità. Perché allora gli omosessuali non possono sposarsi? Perchè sono "omosessuali", forse?
Anche questo argomento, alla fine dell'analisi, risulta infondato e motivato da un pregiudizio nei confronti dei gay. Il matrimonio non è una istituzione "naturale", come crede il conservatore doc (l'uomo di Neanderthal era solito sposarsi? non credo), bensì una istituzione civile, cioè nata con la società. In quanto tale, è una entità soggetta a modificazioni, in linea con lo "spirito dei tempi": quello attuale spinge verso l'universalizzazione dei diritti, e non si vede perché si debba negare il diritto del matrimonio agli omosessuali, normalissimi cittadini che hanno uno dei due orientamenti sessuali previsti dalla natura.


Ritengo che la chiusura da parte dei conservatori all'estensione dei diritti ai gay abbia due motivazioni: una legata agli interessi di potere, l'altra ad un non ben identificato "timore" verso il cambiamento. Motivazioni implicite che si celano, come sempre è accaduto nella storia, sotto gli espliciti richiami alla "purezza" della tradizione ed alla integrità della religione cristiana.






mercoledì 10 aprile 2013

Il volto dell'omofobia





Questa foto vi fa schifo, vi suscita un sentimento di repellenza, vero?
Ecco, allora vi dovrebbe fare schifo anche l'omofobia: quest'uomo, Wilfred de Brujin, è stato picchiata a sangue perchè gay. La sua colpa? Camminare mano nella mano, nelle strade di Parigi, con il suo compagno. 

Condividi, in nome della lotta all'omofobia, all'ignoranza, al pregiudizio


martedì 9 aprile 2013

Stadi vuoti ed errori arbitrali: un sistema che funziona perfettamente



Il calcio è senza ombra di dubbio uno dei più straordinari (ed emblematici) fenomeni dell'Italia di oggi: ogni domenica migliaia di tifosi si recano allo stadio, e milioni di persone si piazzano davanti alla televisione sintonizzati sugli emittenti sportivi.
Il calcio è in grado di suscitare emozioni fortissime: ore ed ore in curva sotto la pioggia, giornate trascorse in fibrillazione ad aspettare la partita di Champions League, lunghe attese all'aeroporto ad aspettare la squadra di ritorno da una storica vittoria sul campo dell'odiata rivale; derby, sfottò, lacrime per una vittoria sfumata all'ultimo minuto. Il calcio è uno sport che suscita passioni immense, che il "profano" non potrà mai riuscire a capire.
Per milioni di italiani, la vita non sarebbe la stessa senza il calcio.

Una domanda, però, sorge spontanea: ne vale veramente la pena? Hanno veramente un senso tutte le energie emotive consumate ogni domenica, tutti le centinaia (quando non migliaia) di euro spese ogni anno per la propria squadra del cuore?

Questa domanda, perfettamente legittima, viene in mente ad ogni tifoso, ogni domenica sera, quando guarda la moviola delle principali trasmissioni sportive. Ogni settimana si assiste ad una quantità inquietante di errori arbitrali, che falsano l'esito delle partite e rendono nulli gli sforzi di giocatori ed allenatori che hanno preparato con meticolosità tattica il match della domenica.

"Tutti gli errori si compensano", è la frase più ricorrente dei vari commentatori. Nulla di più falso: chiunque segua con sufficiente attenzione il campionato italiano si rende conto perfettamente che, se è vero che molti errori sono casuali, ci sono delle squadre (solitamente quelle di alta classifica, su tutte Juventus e Milan) che vengono sistematicamente favorite dagli arbitraggi. La maggior parte delle squadre ha un saldo più o meno nullo dei punti guadagnati/persi a causa degli errori arbitrali: ma alcune squadre, ogni anno, si trovano ad avere molti più punti di quanto meriterebbero a causa dei fischi a favore.

Il fatto che pochi club ricevano un trattamento arbitrale favorevole è un caso, oppure risponde ad una precisa logica economica? Io provo ad effettuare la mia analisi, dati alla mano, per farvi capire quanto sia marcio il "Sistema calcio" e quanto esso abbia interesse che tutto rimanga così come è: ognuno di voi si formi la propria opinione.

Il calcio, soprattutto dopo i nuovi regolamenti sul tetto spese (che, al contrario di quanto potrebbe sembrare, sono dei provvedimenti estremamente "conservatori": nella impossibilità di attingere a fondi "esterni", i club medio-piccoli non potranno mai competere con i top club), deve essere concepito come un Sistema costituito non solo dalle società calcistiche e dai tifosi, ma anche (e soprattutto) dalle società televisive, dalle testate giornalistiche, dall'associazione degli arbitri e da tutte quelle aziende (di qualsiasi settore) collegate allo sport. Le società calcistiche, compresi tutti i tifosi e tutti i tesserati, non sono che una piccolissima fetta della grande "torta": per darvi una idea, nel campionato 2011-12 gli incassi totali delle società grazie agli stadi è stato di 73 milioni di euro, una cifra inferiore di 30 milioni alla somma incassata dalla Juventus FC per i diritti televisivi nel 2012-13 (103 milioni). 
(Se volete farvi un'idea più precisa della assoluta irrilevanza degli incassi da stadio rispetto a quelli dei diritti televisivi, vi do due link: qui i dati ufficiali relativi agli incassi-stadio, qui quelli relativi ai diritti tv).

Come appare immediatamente dalle somme di denaro stanziate, ciò che conta nel Sistema calcio non sono gli spettatori presenti negli stadi (che pure sono il cuore pulsante dello sport), ma i milioni di telespettatori piazzati davanti alla TV. Al vertice del Sistema vi sono dunque le aziende televisive (Sky e Mediaset Premium su tutti) e, molti gradini sotto, le testate giornalistiche (soprattutto sportive): sono i due elementi che, infatti, hanno più interesse a che il Sistema calcio funzioni, in quanto un campionato di alto livello e seguito da un numero maggiore di spettatori significa più incassi, in termini soprattutto di pubblicità. Ma non sono certo gli unici: tutto il meccanismo degli sponsor, ad esempio, dipende dal rendimento delle squadre a livello nazionale ed europeo.

Chi comanda, dunque, sono le aziende televisive. Senza i soldi dei diritti televisivi, i club non potrebbero neanche lontanamente coprire le spese. Bisogna dunque chiedersi: quale è la situazione maggiormente preferibile dalle società televisive? In altri termini: quale è la situazione che permette alle aziende televisive di incassare più soldi grazie alle pubblicità?
Ovviamente: una situazione in un cui i club di alto livello (che dispongono di più tifosi, sparsi per tutta Italia, e dunque costretti a seguire le partite in TV) si piazzano nelle parti alte della classifica: questo in quanto il tifoso ha più interesse a seguire una squadra che lotta per vincere il campionato o per raggiungere un piazzamento in Champions League. Se poi spostiamo lo sguardo dal piano nazionale a quello europeo, la situazione è ancora più chiara: le aziende televisive e giornalistiche hanno più interesse che in Champions League o in Europa League vadano la Juve, il Milan ed il Napoli, piuttosto che il Catania, la Fiorentina ed il Cagliari: molto semplicemente perché, piazzati davanti al televisore il martedì o il mercoledì sera, vi sarà un maggior numero di tifosi, e ciò significa che i privati stanzieranno somme maggiori per avere uno spazio pubblicitario.
Discorso simile per quanto riguarda le testate giornalistiche: una Juventus che vince il campionato permette a Tuttosport di vendere più copie, per fare un esempio.

E' dunque facilmente intuibile che le società televisive e le testate giornalistiche hanno maggiori interessi che le squadre con più tifosi gravitino nelle parti alte della classifica: per il semplice fatto che, in tale modo, posso vendere il "prodotto" ad un maggior numero di utenti. 

Per quanto riguarda gli arbitri: nell'attuale Sistema calcio, gli errori arbitrali servono, sono necessari; di più: sono addirittura utili ed auspicabili. Per due motivi fondamentali: il primo è che gli arbitri, a livello di serie A, non sono più semplici direttori di gara, ma veicolatori di ricchezza: un semplice fischio in una direzione piuttosto che in un'altra è in grado di spostare una ingente quantità di milioni di euro: pensate semplicemente ad una sfida decisiva, nell'ultima giornata di campionato, che coinvolge due squadre in lotta per l'ultimo piazzamento utile in Champions League: un rigore, che decide il risultato finale, fischiato ad una delle due squadre sposta 20 milioni di euro alla squadra vincitrice.
Dal momento che gli errori arbitrali sono in grado di decidere la classifica di un campionato, e dalla classifica finale di un campionato dipende la quantità di milioni di euro incassati l'anno successivo dalle aziende televisive e giornalistiche (ma più in generale, da tutto il Sistema), è difficile, molto difficile pensare che gli arbitri siano pienamente autonomi nelle loro conduzioni di gara. Perciò, eliminare la possibilità degli errori arbitrali (con la moviola ad esempio, che guarda caso non riesce ad essere introdotta) significherebbe privare le aziende televisive della possibilità di massimizzare gli incassi pubblicitari. 
Il secondo motivo che rende gli errori arbitrali utili al Sistema riguarda non il piazzamento delle squadre ma l'audience dei vari programmi televisivi: come si riempirebbero ore ed ore di trasmissioni, senza le polemiche derivanti da partite condizionate da errori arbitrali? Una partita persa a causa di un rigore inesistente suscita indignazione e incazzatura da parte dei tifosi, che si collegano così su SkySport o sulla Rai per ascoltare le opinioni degli "esperti" e le dichiarazione al veleno del mister o del direttore sportivo della propria squadra.
Gli errori arbitrali fanno audience, ed alzano gli incassi pubblicitari: essi rispondono ad una chiara ragione economica.

Tutti i tifosi, soprattutto delle squadre di medio-bassa classifica, devono prendere atto di un deprimente fatto:  per quanto il sistema calcistico italiano appaia in crisi e mal funzionante, caratterizzato come è da una incompetenza arbitrale che non ha paragoni negli altri tornei e da stadi sempre più vuoti e fatiscenti, in realtà funziona perfettamente: le squadre con più tifosi vincono o ottengono buoni risultati, si classificano per le coppe europee, fanno incassare al mondo dei Media una quantità sempre maggiore di milioni di euro.
Chi comanda, le società televisive, ottiene esattamente ciò che vuole.

Pensare che lo status quo possa cambiare è una assoluta utopia. Il Sistema calcio funziona già perfettamente, perchè chi ha interessi economici ha già esattamente ciò che vuole.
L'unica soluzione sarebbe smettere di andare allo stadio, smettere di seguire la propria squadra in TV: ma è una scelta che nessuno di noi credo voglia fare. Così, la nostra passione sportiva (illusa, perchè ripone speranze in un campionato in cui non c'è competizione, in cui tutto è già deciso ad inizio anno) va ad alimentare il Sistema, che la sfrutta come un mezzo di guadagno. 
Sappiatelo.



lunedì 8 aprile 2013

M5S: stipendi "ridotti" a 6mila euro



“Partono tutti incendieri e fieri, e quando arrivano sono tutti pompieri”, cantava Rino Gaetano nel 1980. Parole che si prestano a descrivere la realtà politica di ogni era, non solo degli anni ’80.

Durante la campagna elettorale i candidati del Movimento 5 Stelle avevano annunciato che avrebbero trattenuto soltanto 2500 euro degli oltre 11mila previsti, e che soprattutto avrebbero rinunciato ai 3500 euro di "diaria" (il rimborso spese) se non fossero stati in grado di rendicontare nei dettagli tutte le spese sostenute.

Stamattina, invece, è arrivata l'ufficialità del dietrofront di Beppe Grillo, leader (e "proprietario", è sempre utile ricordarlo) del Movimento: ok a stipendi di 6000 euro, e rimborsi spese anche se non si è in grado di fornire scontrini e ricevute fiscali.

"Ragazzi - dice il Fondatore - l'importante è essere presenti in Parlamento, fare il proprio lavoro onestamente e in modo trasparente. Io non ho mai eccepito sugli stipendi, ma solo sui vitalizi!". 
Dichiarazione che evidenzia una forte contraddizione con quanto annunciato in campagna elettorale.

Uno degli argomenti principali degli elettori del Movimento 5 Stelle, a giustificazione del proprio voto, è stata la mancanza di credibilità dei “vecchi” politici, incapaci di mantenere le promesse elettorali: che sia il caso di cominciare a riservare lo stesso trattamento anche ai nuovi arrivati?



giovedì 4 aprile 2013

Malta prepara un attacco atomico contro l'Italia!



Copio da http://www.you-ng.it/blog/5726-malta-prepara-le-atomiche-contro-l-italia.html, articolo di Giulio Chinappi, di cui condivido perfettamente l'analisi.

Alle ore 4:00 di questa notte, Malta ha annunciato che sta preparando le proprie testate atomiche per lanciarle contro l'Italia. Il piccolo Paese arcipelagico, infatti, non riesce più a sopportare il peso dei profughi che sbarcano sulle proprie coste, ed è pronto a scatenare una guerra nucleare qualora l'Italia non li accetti sul proprio territorio.
Ci avete creduto? Ovviamente no.
Eppure, c'è chi crede davvero che la Corea del Nord sia pronta a scatenare una guerra nucleare contro gli Stati Uniti. Il grado di assurdità della notizia, però, è lo stesso.
Innanzi tutto, nessuna fonte ufficiale nordcoreana afferma che il Paese asiatico sarebbe pronto a scatenare una guerra nucleare contro gli Stati Uniti. La notizia è stata riportata solo dai media occidentali, ed è venuta fuori quando, per via del fuso orario, a Pyongyang erano all'incirca le 4:00 del mattino. Come se, svegliato da un brutto incubo nel cuore della notte, Kim Jong-Um avesse deciso di dichiarare guerra al Paese più guerrafondaio del mondo.
E Kim Jong-Um dovrebbe averne fatti parecchi di sogni, per prendere una decisione del genere. Ad esempio, avrebbe dovuto sognare di avere la tecnologia necessaria per lanciare delle testate nucleari ad almeno 6.000 km di distanza, in Alaska, oppure a 7.300 km, nelle Hawaii. Per raggiungere la città degli Stati Uniti “continentali” più vicina, le testate nucleari avrebbero poi dovuto percorrere 8.200 km, per arrivare a Seattle, oppure 9.000 km per giungere in California. Ma Kim-Jong Um è uno che sogna in grande: colpirà direttamente Washington, il centro del potere, a 11.000 km di distanza.
E così, un piccolo Paese di 24 milioni di abitanti, contro i 313 milioni degli Stati Uniti, e con un PIL 374 volte inferiore a quello statunitense, sarebbe pronto a dichiarare una guerra, per giunta nucleare, contro la prima potenza mondiale dal punto di vista economico e militare. Complimenti a chi ci crede!
Io lo considererò solo l'ennesimo atto di propaganda statunitense, volto a preparare la popolazione alla prossima invasione della Corea del Nord. Bombardati non dal nucleare nordcoreano, ma dalle balle della pseudoinformazione, i cittadini statunitensi saranno così pronti a giustificare una nuova guerra, e con loro anche gli europei.

Giulio Chinappi


Perché dialogare con questo centrodestra è impossibile



Da settimane si susseguono le affermazioni di esponenti del Popolo della Libertà che gridano alla "irresponsabilità" del centrosinistra, che a loro avviso si rifiuta in maniera immotivata di aprire un dialogo con il centodestra.
Due esempi: di questa mattina è l'esternazione di Gabriella Giammanco, deputata del Popolo della Libertà: "A più di un mese dalle elezioni, per l’egocentrismo e l’irresponsabilità di Bersani, ci troviamo in una situazione di stallo e in attesa del lavoro dei ’saggi’ che, a mio parere, portera’ a un nulla di fatto. Serve subito un Governo politico di grande coalizione oppure si vada al voto".
Toni simili da altri esponenti, come Vincenzo Gibiino, senatore: “I troppi niet del Partito democratico sono la causa principale della gravissima situazione di stallo e di non governo del Paese. La concretezza necessaria per combattere la crisi, un esecutivo capace di azioni immediate e mirate, vengono negati agli italiani dal demagogico ed irresponsabile Bersani.”

La posizione del Popolo della Libertà, in sintesi, è che la coalizione di centrosinistra si stia comportando in maniera irresponsabile e demagogica, perseverando in un atteggiamento di immotivata chiusura dovuto a motivazioni riconducibili all’odio personale nei confronti di Silvio Berlusconi. Come se il “no” ad un governo di larghe intese derivasse da un capriccio, da un risentimento emotivo.

Nulla di più lontano dalla realtà. E' innegabile che lo stallo politico sia dovuto anche al rifiuto di collaborazione del Partito Democratico: ma ci sono motivazioni, assolutamente oggettive, che impediscono ai partiti della sinistra (e al loro elettorato) di aprire un qualsiasi dialogo con il Popolo della Libertà.

Non c’è dubbio che in una democrazia parlamentare, soprattutto in momenti di crisi economica come l’attuale, le forze politiche debbano “ammorbidire” le proprie posizioni e giungere alla proposta di riforme condivise: in special modo se dalle urne emerge una quasi parità di consensi (alla Camera, 29,5% coalizione di centrosinistra, 29,1% coalizione di centrodestra).

Questo è ciò che deve avvenire, e di norma avviene (pensiamo al Belgio, in cui non c’è un governo di maggioranza da anni), in circostanze politico-istituzionali normali. 
Il problema, che l’elettorato del centrodestra e i suoi esponenti parlamentari sembrano ignorare, è che in circostanze normali non ci troviamo affatto. Provo a spiegarmi.

In una democrazia ci sono delle regole che vengono prima del consenso elettorale: ci sono dei principi, che trovano manifestazione nelle norme costituzionali e morali, che sono alla base della dialettica politica e costituiscono il presupposto imprescindibile del giusto funzionamento della società. 
Questi principi sono, ad esempio, il rispetto della indipendenza dei poteri dello stato; il riconoscimento dei diritti minimi a tutti i cittadini, a prescindere dall’orientamento politico, morale, sessuale (purché la fruizione di tali diritti non costituisca un pericolo per la società); l’utilizzo delle istituzioni per fini collettivi, e non per interessi personali; la superiorità della legge, cui ci si deve subordinare, senza se e senza ma.

Tutti questi principi, che semplicemente rappresentano il minimo necessario per il corretto funzionamento delle istituzioni, non possono essere alla mercé dei partiti. In altri termini: non sono posizioni politiche, ma qualcosa che viene prima: sono le basi della nostra società. I cittadini, e così i partiti che ne sono l'espressione politica, devono riconoscerli: senza se e senza ma.
Una posizione politica (come quella assunta dal PDL) di negazione di tutti questi principi, è una posizione inaccettabile ed illegittima.

Il rifiuto del Partito Democratico di aprire un confronto con il Popolo della Libertà, cari elettori ed esponenti del centrodestra, non è dovuto (almeno non principalmente) a pregiudizi ideologici o a differenze di vedute in materia di politiche sociali ed economiche: è dovuto al fatto che il Popolo della Libertà si permette di occupare le aule di un tribunale, facendo pericolose pressioni sulla Magistratura e minando il principio della indipendenza del potere giudiziario da quello politico; è dovuto al fatto che il Presidente del partito, Silvio Berlusconi, da anni utilizza le istituzioni per i propri interessi personali, promuovendo leggi favorevoli alle proprie aziende ed utili ad evitare le sentenze nei processi in cui è imputato, di fatto riconoscendosi al di sopra della legge e facendo un uso strumentale delle istituzioni (a proposito: qui trovate tutte le leggi ad personam votate nelle precedenti legislature); è dovuto al fatto che il Popolo della Libertà si rifiuta di riconoscere i diritti minimi a delle minoranze della società, immigrati ed omosessuali, che in quanto esseri umani hanno la piena dignità per ottenerli. 

Fino a quando il Popolo della Libertà si ostinerà a proseguire in questa direzione, impegnando tutte le proprie energie alla difesa personale del proprio capo, subordinando il bene del Paese alla salvezza giudiziaria di Silvio Berlusconi (che deve accettare di essere processato, e rispettare le sentenze, come fa ogni cittadino), si potrà tornare a discutere di economia, di politiche sociali, di Europa, e via dicendo.

Lo diciamo da cittadini italiani, prima ancora che da elettori: fino a quando il Popolo della Libertà non abbandonerà le posizioni eversive che sostiene, eversive perché negatrici di tutta una serie di principi fondamentali della democrazia, non potrà esserci alcun confronto. Mai.



martedì 2 aprile 2013

Galileo Galilei, berlusconismo ed aristotelismi



Probabilmente vi state chiedendo che cosa può accomunare personaggi vissuti a distanza di secoli come Aristotele, Galileo Galilei e Silvio Berlusconi. Ebbene: voglio raccontarvi due aneddoti, che hanno per protagonista il fondatore della meccanica moderna, che metteno in luce un tipo di mentalità che ritroviamo, esattamente nella stessa forma, in un uomo del seicento e nell'elettore berlusconiano medio.

Siamo nel 1610: Galileo Galilei ha da poco perfezionato un cannocchiale speditogli dall'Olanda, e dopo averlo puntato verso il cielo ha effettuato delle importantissime scoperte astronomiche che smentiscono gran parte delle tesi dell'astronomia aristotelico-tolemaica, il sistema filosofico-scientifico dominante da più di quindici secoli.
L'astronomia aristotelico-tolemaica, in breve, prevede che la Terra sia al centro del mondo e postula un universo "chiuso" diviso in un numero limitato di "cieli", sostenendo che tutti i corpi celesti situati nei cieli a partire da quello della luna sono costituiti di una materia "cristallina", l'etere: materia incorruttibile, non sottoposta al mutamento ed alla degenerazione. Una materia perfetta, dunque: lucida, trasparente, uniforme.
Galilei scopre invece che la superficie lunare è solcata da valli e montagne, non visibili ad occhio nudo; scopre le macchie solari, le fasi di Venere e tanti piccoli "satelliti" intorno a Giove: tutte osservazioni sperimentali che smentiscono l'astronomia aristotelico-tolemaica, e spingono lo scienziato a parlare di "funerale" della medesima.
Lo scienziato pisano pubblica queste scoperte nell'opera "Sidereus nuncius", e fa notare come smentiscano clamorosamente tutte le ipotesi del sistema tolemaico e siano al contrario prove della correttezza del sistema elaborato da Nicolò Copernico.
Non bisogna dimenticare che la Chiesa aveva trovato nel sistema tolemaico una conferma della visione del mondo che emerge dalle Sacre Scritture: Terra al centro dell'universo, dunque luogo d'elezione finalizzato alla vita dell'uomo, creatura prediletta da Dio; universo chiuso, oltre il cui limite sarebbe situato il Paradiso; Inferno nei meandri della crosta terrestre. L'appoggio della Chiesa aveva fatto sì che il sistema aristotelico-tolemaico, da ipotesi scientifica tra le tante, divenisse il principale sistema del mondo: in altri termini, il Mondo stesso.
Immediate sono pertanto le reazioni dei vertici ecclesiastici, che gridano allo scandalo ed accusano pubblicamente Galilei. Per difendersi dalle accuse, e far vedere come egli si fosse semplicemente basato su "dati di fatto" emersi dall'osservazione, lo scienziato invita nel suo studio numerosi rappresentanti del mondo ecclesiastico: essi avrebbero infatti potuto scrutare attraverso il telescopio e prendere atto della correttezza delle sue affermazioni.
Tuttavia, lo scienziato non raggiunge il proprio scopo: alcuni si rifiutarono di accostare l'occhio al telescopio, bollandolo come "strumento del demonio"; altri tentarono di formulare ipotesi alternative per spiegare le osservazioni: Cristoforo Scheiner, ad esempio, avanzò la tesi che le macchie solari fossero ombre proiettate dagli altri corpi celesti sul sole; Galilei fece notare che ciò non era possibile, in quanto il movimento circolare dei corpi celesti conosciuti era regolare, mentre al contrario le macchie solari apparivano e scomparivano ad intermittenze irregolari.
Il mondo della Chiesa non si smosse di un passo: il sistema copernicano venne dichiarato eretico (1613) e Galileo Galilei fu invitato a ritrattare pubblicamente le proprie tesi (marzo del 1616).

Utile è anche un altro aneddoto, esposto da Galilei nel "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" (1632): uno dei protagonisti del dialogo racconta che, avendo potuto osservare insieme ad altri, in casa di un medico, che in un cadavere umano i nervi partono dal cervello e non dal cuore, secondo quanto scrive Aristotele, ebbe occasione di sentir fare da "un gentiluomo ch'egli conosceva per filosofo peripatetico (= seguace di Aristotele)" un discorso di questo tipo: "Voi mi avete veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo di Aristotele non fusse il contrario, che apertamente dice i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera".

Questi due casi, degli ecclesiastici alle prese con il cannocchiale e del peripatetico in casa del medico, dimostrano una caratteristica della mente umana: il dogmatismo. Il fatto, cioè, che l'essere umano è in grado (anzi, perfettamente in grado: ci riesce benissimo) di formarsi delle convinzioni e delle opinioni che non intende abbandonare, neanche davanti a circostanze che le smentiscono clamorosamente.

Noi uomini del terzo millennio siamo solitamente portati a credere che questo tipo di mentalità appartenga al passato e ad epoche di oscurità culturale: tuttavia, il caso dell'elettore berlusconiano medio ci ricorda che, anche nella società contemporanea, sono possibili casi di questo genere.
Pensate che stia vaneggiando? Provate a recarvi ad un comizio o ad una manifestazione del Popolo della Libertà, e chiedete ai presenti che cosa pensino di Silvio Berlusconi: vi diranno che è il migliore degli uomini, che è una persona immacolata, che tutti i casi giuridici in cui è invischiato sono montature della magistratura rossa, che le serate di Arcore erano cene eleganti, e così via.

A nulla varrà far notare che il noto avvocato inglese David Mills è stato condannato nel 2009 per essere stato corrotto da Berlusconi (qui trovate dei dettagli del processo), e che il Cavaliere non ha ricevuto lo stesso trattamento soltanto perché il reato è finito in prescrizione, grazie ad una legge (ex Cirielli) che accorcia i termini di prescrizione proprio per il reato di corruzione (nella sentenza i giudici parlano di "reato accertato", ma non punibile per via dei termini di prescrizione); a nulla servirà far leggere le migliaia di intercettazioni telefoniche (qui potete trovare il testo integrale) in cui emerge un giro di soldi e prostitute che tutto può significare tranne che "cene eleganti"; a niente varrà far visionare tutte le figure di cacca (ed uso un eufemismo) di Berlusconi nei vari meeting internazionali (qui tutte le gaffe), che ci costano tuttora una immagine arlecchinesca dell'italiano nei paesi esteri; nessun effetto sortirà il fatto che uno dei protagonisti della scena politica degli ultimi venti anni abbia ospitato in casa dal 1973 al 1975 un noto mafioso, Vittorio Mangano (qui alcune informazioni sul suo conto), e che ciò può sollevare gravissime ipotesi di rapporti con la mafia (per inciso: il braccio destro del Cavaliere, Dell'Utri, è stato appena condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: ma anche questo non vuol dire nulla, per l'elettore berlusconiano); a niente servirà mettere davanti agli occhi tutta la serie di leggi ad personam emanate durante le ultime legislature (qui una lista dettagliata), e far notare come da ciò emerga un uso strumentale e per fini personali delle Istituzioni; e potrei continuare.

Eppure sono tutte evidenze, accertate evidenze. Si viene a riproporre, pari pari, il caso dell'ecclesiastico seicentesco e del seguace di aristotele: anche davanti a schiaccianti evidenze, l'opinione non cambia. Come la terra continua ad essere al centro dell'Universo, secondo l'ecclesiastico; come i nervi continuano a dipartirsi dal cuore, secondo il peripatetico; così Silvio Berlusconi continua ad essere un grande statista, un uomo immacolato, un organizzatore di cene eleganti, un cittadino onesto ed un salvatore della patria, per l'elettore berlusconiano medio.

E' una triste, tristissima realtà che dimostra come una parte dei cittadini italiani non abbia ancora assunto una mentalità critica e lucida, ma al contrario perseveri in una irrazionale adesione al carisma di un personaggio capace di costruirsi una immagine immacolata e di inculcarla, attraverso un lungo e martellante bombardamento mediatico, nella testa dei suoi elettori.



Risposta al commento di "Anonimo"



Commento di "Anonimo" al mio articolo: "La mentalità del grillino medio: PD = PDL"

"Mamma mia, quante "cose" mentali...
Mettiamola così: il concetto base del grillino medio, quale io reputo di essere, è che lo stato di sfascio attuale del Paese è causato dalla gestione particolaristica del potere, che ha il suo fulcro proprio nei partiti tradizionali e nel modo in cui questo sono stati e sono tuttora gestiti. Di conseguenza, per risolvere il problema e risollevare il Paese, l'unica possibilità è mettere questi partiti in condizione di non poter continuare a distruggere l'economia, la cultura, il sociale. In poche parole, di mandare tutte le persone che finora hanno gestito il potere a casa, possibilmente facendoci ridare almeno in parte le risorse che si sono mangiati finora (anche se questo sarà difficile).
L'acculturatissimo estensore di questo francamente difficile da leggere (e quindi poco fruibile) articolo risponda a questa domanda: in caso di necessità di operazione chirurgica, si farebbe mai operare in una clinica che ha un'altissimo tasso di mortalità chirurgica? No? E allora perché viene a criticare noi che vogliamo riformare la clinica?"


Le rispondo sulla falsariga della metafora da Lei introdotta: la clinica ospedaliera.Ritengo che Lei l'abbia posta in maniera troppo semplicistica: come se tutti i medici e chirurgi che vi lavorano avessero le stesse (in)competenze, utilizzassero gli stessi strumenti chirurgici e condividessero le stesse modalità di lavoro: in una parola, che tutti i medici della clinica "siano la stessa cosa". Proprio quest'ultima affermazione è ciò che ho tentato di dimostrare essere sbagliata, o quantomeno infondata: Lei potrà anche ritenere che sia così, che "tutti i medici siano uguali": ma deve dimostrarlo. Questa totale identità tra i vari chirurghi e medici viene assunta ormai come un dato di fatto, come un principio da cui muovere in ogni discussione: ma non c'è mai nessuno che l'abbia dimostrato, se non con generiche affermazioni retoriche.Sì, io mi farei operare in tale clinica. Mi farei operare in tale clinica perché una parte dei suoi medici è stata quasi totalmente rinnovata (70% di facce nuove), e rinnovata sulla base di una mia scelta. Perché tanti dei suoi medici, che hanno concorso in maniera determinante alla gestione fallimentare, sono stati "mandati a casa", come dice Lei, e sostituiti da personalità che io stesso ho concorso ad eleggere, nella zona in cui vivo. Molti medici che mi opereranno, io li conosco personalmente e so di potermi fidare di loro.Soprattutto, mi opererei in quella clinica perché le nuove che sono sorte non mi danno alcuna garanzia: non mi farei mai operare da un primario che urla e offende gli altri medici, ma soprattutto non mi fiderei mai di chirurghi che non hanno mai utilizzato un bisturi (e non hanno neanche i minimi requisiti di studio per farlo). Non mi opererei mai in questa clinica, per quanto a 5 Stelle, perché le modalità di operazione dei suoi medici non ha alcuna garanzia di successo.Soprattutto, mi opererei in quella clinica perché le nuove che sono sorte non mi danno alcuna garanzia: non mi farei mai operare da un primario che urla e offende gli altri medici, ma soprattutto non mi fiderei mai di chirurghi che non hanno mai utilizzato un bisturi (e non hanno neanche i minimi requisiti di studio per farlo). Non mi opererei mai in questa clinica, per quanto a 5 Stelle, perché le modalità di operazione dei suoi medici non ha alcuna garanzia di successo.Se mi risponde "dalla lotta alla evasione e alla corruzione", Le dico: benissimo, ma allora perché il M5S non ha votato la fiducia ad una coalizione che metteva al centro dell'agenda di governo proprio questa lotta alla illegalità?Probabilmente mi risponderà: "per coerenza con quanto detto in campagna elettorale: che non si fanno alleanze con nessuno". Benissimo, ma allora non si cambia il paese, e non si attua nessuno dei punti proposti dal M5S agli elettori.Tornando alla metafora della clinica: la clinica a 5 stelle che è recentemente sorta è una clinica di medio-bassa qualità: ha un primario che basa la sua direzione sugli urli e sulle offese (in questo ricordando alcuni primari del passato, uno in particolare), ha dei medici che non conoscono neanche le nozioni minime necessarie ad operare un paziente, e soprattutto propongono una cura che non solo non ha alcuna garanzia di riuscita ma che, al contrario, causerebbe la morte successiva del paziente. Che sia questo il motivo perché il primario della clinica a 5 stelle non vuole tentare di gestire l'associazione ospedaliera?Le rivolgo io una domanda, adesso: Lei si farebbe curare in una clinica ospedaliera che le prescrive delle cure, delle medicine e dei farmaci che non è nelle possibilità economiche di comprare? Cordiali saluti.


Non c'è alcun dubbio che la clinica abbia avuto, nei passati decenni, una conduzione fallimentare: ma io, a differenza Sua, traccio delle differenze ben precise tra i vari medici, chirurghi e infermieri che vi lavorano. Sostengo che abbiano responsabilità diverse, e di diversa entità: ci sono chirurghi che hanno fatto più operazioni degli altri, ad esempio.
Rispondo alla sua domanda: "in caso di necessità di operazione chirurgica, si farebbe mai operare in una clinica che ha un'altissimo tasso di mortalità chirurgica? No? E allora perché viene a criticare noi che vogliamo riformare la clinica?"

Abbandonando per un secondo la metafora: Lei accusa i partiti tradizionali di essere personalistici: ma Le faccio notare che il Movimento 5 Stelle è nato e cresciuto proprio grazie alla capacità carismatica di Beppe Grillo, che ha preso e sta continuando a prendere tutte le decisioni (chi buttare fuori dal movimento, con chi fare o non fare alleanze, ecc.). O vuole forse farmi credere che l'elettorato a 5 stelle è stato convinto (razionalmente) dal programma? Siamo seri, dai. Il programma del Movimento 5 Stelle è irrealizzabile: propone tutta una serie di riforme che non ha alcuna copertura finanziaria: se tutte le proposte venissero applicate, lo stato italiano avrebbe una spesa aggiuntiva di 70 miliardi di euro all'anno (si faccia due calcoli, con programma alla mano, e vedrà che le cifre sono più o meno queste). Le chiedo: da dove prende questi soldi lo stato? Non mi risponda "dai tagli ai costi della politica, dai tagli ai finanziamenti ai caccia F-35", perché li ho già contati.



lunedì 1 aprile 2013

Finanziamento pubblico, rimborsi elettorali e demagogia



L'abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti è uno dei temi più dibattuti nell'ultima campagna elettorale: cavallo di battaglia di Renzi nella sfida delle primarie, è una delle riforme richieste più a gran voce da Beppe Grillo e dal popolo a 5 Stelle.
Succede spesso che il martellamento elettorale su alcuni temi particolari porti ad una automatizzazione delle posizioni dei cittadini: sentirsi ripetere continuamente che "il finanziamento pubblico deve essere essere abolito!" porta a convincersi, molto probabilmente senza una riflessione approfondita della questione, che il male assoluto della democrazia italiana sia il meccanismo di finanziamento e di rimborso elettorale ai partiti. Siamo sicuri che sia così? Approfondiamo la questione.

Breve storia del finanziamento pubblico in Italia
Il finanziamento pubblico ai partiti è stato introdotto in Italia con la legge Piccoli n.195 del 2 maggio 1974, che prende il nome dal parlamentare Flaminio Piccoli (DC): venne votata da tutti i partiti presenti nel parlamento, ad eccezione del Partito Liberale Italiano (che subito dopo, sempre nel 1974, tentò di istituire un referendum abrogativo, non riuscendo però a raggiungere il numero di firme previsto). Motivo? Tentare di arginare il fenomeno della corruzione. Il ragionamento alla base della legge era più o meno il seguente: "se un individuo ricchissimo, una lobby finanziaria o anche semplicemente un ente pubblico decide di finanziare un partito, inevitabilmente vorrà in cambio una serie di leggi a tutela dei propri interessi. Introduciamo dunque un meccanismo di finanziamento pubblico, al fine di ridurre questo pericolo."
La legge approvata nel 1974 aveva una clausola fondamentale: obbligava infatti i partiti a rendicontare in maniera trasparente tutti i finanziamenti ricevuti dallo stato, e vietava alle formazioni politiche di ricevere finanziamenti da enti pubblici (come ad esempio l'Eni). Tuttavia la norma non ebbe i risultati sperati: numerosi furono infatti i casi di corruzione e di tangenti, tra i quali spiccano quello del 1976, quando l'industria statunitense Lockheed ammise di aver pagato somme di denaro a parlamentari italiani per vendere i propri aerei, e quello del banchiere Michele Sindona, che sempre in quegli anni mise in piedi un sistema di corruzione gravitante intorno alla Democrazia Cristiana.
Nel 1980 avviene un tentativo di raddoppiamento dei finanziamenti pubblici: inizialmente fallito (a causa dello scandalo Caltagirone), l'anno successivo va a buon fine. La legge n.659 del 18 novembre 1981 introduce delle modifiche così sintetizzabili: i finanziamenti pubblici vengono raddoppiati; i partiti e i singoli candidati hanno il divieto di ricevere finanziamenti da enti pubblici e dalla pubblica amministrazione; viene istituito un nuovo meccanismo di trasparenza dei bilanci: i partiti devono consegnare annualmente un rendiconto delle entrate e delle uscite, anche se non è previsto alcun controllo effettivo. Il Partito Radicale, nei giorni di discussione della legge, tenta di impedirne l'approvazione, attraverso atti di ostruzionismo parlamentare.
Si arriva così a due importanti referendum: il primo, promosso dai Radicali nel 1978, non raggiunge il quorum per pochi punti (il "sì" alla abolizione dei finanziamenti ammontava al 97%); il secondo, promosso nell'aprile del 1993 dopo l'inchiesta di Tangentopoli, raggiunge il quorum con una percentuale di "sì" del 90,3%.
Nonostante l'esito schiacciante del quesito referendario, il finanziamento pubblico fu sì abolito, ma solo formalmente: attraverso un aggiornamento di una normativa già esistente, venne rimpiazzato da una nuova legge del dicembre 1993 in materia di rimborsi elettorali, già operativa nelle elezioni del 1994.
Nel 2000 si registra un nuovo tentativo referendario da parte del Partito Radicale, finalizzato ad eliminare i rimborsi elettorali: il quesito non arriva neanche lontanamente al quorum, vedendo la partecipazione di soltanto il 32% degli aventi diritto al voto.
La norma venne ampliata nel 1999, attraverso una normativa che destina, a partire dalla legislatura del 2001, fondi a tutti i partiti che superano l'1%. Nel 2006 la normativa viene ulteriormente modificata: da questo momento, i partiti avrebbero ricevuto rimborsi per 5 anni dal voto, anche in caso di fine anticipata della legislatura. Per dare una idea dei soldi smossi da questa legge, basti pensare che nelle elezioni del 2008 il Popolo della Libertà ricevette 206 milioni di euro, il Partito Democratico 180 milioni, la Lega Nord 40.
Nelle legislature successive al 2006 lo stato arriva a spendere cifre esorbitanti: circa 456 milioni di euro per legislatura.
Per arginare questo sperpero di denaro pubblico, nel luglio del 2012 è stata votata la legge n.96/2012 proposta dal governo Monti che prevede un dimezzamento dei fondi pubblici ai partiti (da 182 a 91 milioni) per l'anno successivo, e prevede una graduale diminuzione per gli anni a seguire. La legge prevede inoltre nuove condizioni per accedere ai fondi: è necessario raggiungere almeno il 2% alla Camera o avere almeno un parlamentare eletto; è necessario che il partito si doti di un atto costitutivo e di uno statuto interno "conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti" (motivo per cui il Movimento 5 Stelle non può accedere ai finanziamenti). In più, la legge prevede nuovi meccanismi di trasparenza (istituzione di una commissione composta da 5 magistrati, 3 della Corte dei Conti, 1 del Consiglio di Stato, 1 della Corte di Cassazione, finalizzata al controllo, e obbligo per i tesorieri dei partiti di rendere pubblici i redditi personali e familiari) e un dispositivo per promuovere le quote rosa: in caso di un numero di persone dello stesso sesso maggiore ai 2/3 degli appartenenti, il partito in questione ha una decurtazione del 5% dei fondi previsti.

Come si comportano gli altri Stati europei? 
Se spostiamo lo sguardo dalla nostra amata terra e lo dirigiamo verso le contrade europee, noteremo immediatamente come il meccanismo del finanziamento pubblico ai partiti non sia un cancro della società italiana, ma al contrario una vera e propria istituzione nella quasi totalità dei paesi europei.
Per dei dati precisi al riguardo, rimando a questa pagina web: http://www.ilpost.it/2012/04/16/i-fondi-pubblici-ai-partiti-nel-mondo/

Quanto spende lo stato italiano? 
Stando alla ultima tornata elettorale, i dati che emergono sono i seguenti:

- Partito Democratico: 45.856.037 euro
- Movimento 5 Stelle: (42.782.512 euro; non può ottenerli, in quanto non ha uno "statuto"; Grillo ha comunque sempre affermato che il M5S li avrebbe rifiutati)
- Popolo della Libertà: 38.060.750 euro
- Lista Monti: 8.002.312 euro
- Lega Nord: 7.309.575 euro
- Scelta Civica: 7.126.437 euro
- Sinistra Ecologia e Libertà: 5.182.616 euro
- Fratelli d'Italia: 1.680.087 euro
- Udc: 1.528.800 euro
- Centro Democratico: 422.012 euro
- Megafono di Crocetta: 398.125 euro
- SVP: 366.275 euro
- Grande Sud: 350.350 euro

Totale: 159.065.891 euro

Da numerose inchieste emerge che i partiti hanno speso 1 euro ogni 4,5 incassati: dal 1994 al 2012 sono stati stanziati circa 2 miliardi e 700 milioni (fonti: ilfattoquotidiano, ilfattoquotidiano2, sulla base del libro "Partiti S.P.A" di Paolo Bracalini), mentre ne sono stati spesi soltanto un quarto. Ciò significa che i restanti tre quarti (circa 2 miliardi di euro) sono rimasti nelle casse dei partiti: è tuttora ignoto l'utilizzo di gran parte di questi soldi.

Alcune riflessioni
Qualsiasi riflessione approfondita sul meccanismo del finanziamento pubblico non può prescindere da un punto di partenza innegabile: ogni partito ha delle spese, sia in campagna elettorale sia nei periodi di normale attività parlamentare. Tali spese riguardano i comizi, le conferenze, le sezioni di partito: tutti elementi imprescindibili in una democrazia parlamentare. Non c'è dubbio che l'immensa quantità di denaro immessa nelle casse dei partiti, congiunta alla modesta spesa dei medesimi, rende immediatamente evidente un dato: è necessario ridurre al minimo indispensabile i finanziamenti pubblici ai partiti, che si chiamino finanziamenti o rimborsi elettorali. Questo per un fondamentale motivo, da tutti riconosciuto: in un periodo di crisi economica, in cui le casse statali languono, anche pochi milioni di euro fanno la differenza, in quanto potrebbero essere stanziati per la riqualificazione del territorio, per incentivare piccole e medie opere, per pagare i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle piccole imprese. In poche parole: qualsiasi euro sprecato, o non utilizzato, è un danno irreparabile per la società. Con questo, trovo sinceramente eccessiva la demagogia intorno ai finanziamenti pubblici: si vuole far passare la loro abolizione come la soluzione di tutti i problemi dell'economia italiana, quando semplicemente non è così: al massimo si risparmierebbero 118 milioni di euro a legislatura, ossia 25 milioni circa all'anno (calcolando i rimborsi delle ultime elezioni): una cifra che potrebbe risolvere piccoli problemi, certo, ma non risollevare le sorti di una nazione. Che sia presentata per quello che è, dunque: una riforma finalizzata alla moralizzazione della politica, per far sì che il mestiere del politico torni ad essere una vocazione e non una via per la ricchezza, e non certo come la soluzione di tutti i mali (eppure, stando a quanto dice Grillo, l'abolizione dei finanziamenti ha una priorità rispetto alla lotta alla corruzione ed alla evasione fiscale, che porterebbe nelle casse dello stato miliardi, e non milioni, di euro in più).

Senza alcun dubbio, dunque, i rimborsi elettorali devono essere rivisti e razionalizzati. Che sia necessario diminuire al minimo indispensabile i finanziamenti pubblici non significa, però, che bisogni abolirli del tutto: quale è, infatti, la logica sottostante alla introduzione dei medesimi?

Premessa: le considerazioni che sto per esporre sono puramente teoriche, e molto probabilmente smentite dalla realtà dei fatti. Sono convinto, tuttavia, che una idea giusta rimanga giusta anche se non ha una attuazione: soprattutto nel caso in cui sia una idea non utopica, nel senso che il fatto che non abbia avuto attuazione nel passato non significa che non possa essere attuata nel futuro. Il fatto che l'idea alla base del finanziamento pubblico ai partiti non sia stata corrisposta da una azione coerente, non inficia il fatto che una politica buona (o comunque migliore rispetto a quella del passato) sia in grado di applicarla.

Il meccanismo del finanziamento pubblico ai partiti risponde ad una logica di tutela della volontà del cittadino-elettore: elettore che, durante la campagna elettorale, si sente fare delle promesse che si augura verranno rispettate in caso di vittoria del partito in questione.
Tutti i partiti, come ho già accennato, hanno delle spese, soprattutto durante la campagna elettorale: comizi, conferenze, spostamenti, alloggio dei politici; tutte spese necessarie, che non possono essere delegittimate con la presunzione (propria del Movimento 5 Stelle) che tutto il motore elettorale sia in grado di alimentarsi con il lavoro volontario dei militanti. Chi ha esperienza di attività politica sa benissimo che durante le campagne elettorali la totalità dei militanti dei partiti lavora gratis: e tuttavia rimangono delle spese, non copribili con il sudore dei militanti. Inoltre, i partiti (soprattutto quelli fortemente radicati sul territorio) si reggono su una rete di segreterie e sezioni, alla cui "testa" vi è un cittadino-militante che impiega una larga fetta della sua giornata a svolgere il suo ruolo: "il tempo è denaro", recita un famoso detto. Per essere meno retorici: anche i segretari di sezione hanno un piccolo "stipendio", il più delle volte simbolico, che va a premiare una attività fatta di fatica e lavoro: fatica e lavoro dedicati alla collettività, dato che (fino a prova contraria) l'attività politica è finalizzata alla collettività.
Dico questo perchè quando i vari politicanti da strapazzo (e tra questi ci sono anche i vari pentastellati da tastiera) attaccano con una violenza senza precedenti i finanziamenti ai partiti, molto probabilmente dimenticano che essi servono anche (e soprattutto!) a remunerare persone (quasi tutti giovani) che dedicano gran parte del proprio tempo all'attività politica. Giovani che studiano, che a malapena hanno un lavoro: tanto di cappello, se impiegano il loro tempo a svolgere attività politica! E non si venga a dire che "la politica è fatta di passione, non servono i soldi", perché chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale sa perfettamente che bisogna arrivare a fine mese, e che c'è una gigantesca differenza tra le varie migliaia di euro che incassa un parlamentare e le poche centinaia che riceve un segretario di sezione (quando li riceve!).
Inoltre, non dimentichiamoci che quando un partito spende dei soldi per montare un palco (ad esempio) dà lavoro a dei cittadini: si parla tanto di economia reale, di mancanza di liquidità e di scambio di ricchezza, e poi si va a criticare proprio ciò che garantisce delle ore di lavoro. Quindi, per favore, quando si affronta il tema dei finanziaminanziamento pubblico, al fine dte piccole cose, che rischiano di essere dimenticate nella selva della retorica demagogica.

Quelle sopra elencate (ce ne sono anche altre, ovviamente) sono tutte spese necessarie: un semplice dato di fatto. Ora: da dove i partiti prendano i soldi necessari, fa una grandissima differenza. Ci sono tre "situazioni" possibili (che non si escludono l'un l'altra):

- finanziamento a carico dello stato (finanziamento pubblico)
- finanziamento a carico di privati (finanziamento privato)
- finanziamento sotto forma di donazione degli elettori (donazioni)

Qualche riga sopra ho scritto che "il meccanismo del finanziamento pubblico ai partiti risponde ad una logica di tutela della volontà del cittadino-elettore": procedo a motivare questa affermazione.
Finanziamento pubblico significa tutela della volontà dell'elettore in quanto il partito riceve soldi dallo stato, entità impersonale che non chiede niente in cambio: il finanziamento pubblico è una somma che i partiti si trovano in mano senza che debbano sottostare ad alcuna richiesta che non sia quella dell'elettore, il quale ha interesse che il partito che ha votato mantenga le promesse elettorali, molto semplicemente. In un sistema in cui ricevono finanziamenti sulla base di un consenso elettorale minimo (come quello attuale, dove serve il 2% alla Camera), i partiti hanno tutto l'interesse a mantenere le promesse elettorali ed un comportamento etico adeguato: in quanto proprio dal mantenimento delle promesse e dal comportamento adeguato gli proviene il consenso, e di conseguenza il finanziamento. In altri termini: per sopravvivere come entità, il partito necessita di entrate; e dal momento che queste derivano dal consenso, si farà di tutto per accontentare i propri elettori.
Ovviamente, affinché tutto ciò funzioni è necessario che i finanziamenti sia commisurati alle spese effettive dei partiti, che per legge devono essere mantenute al di sotto di una certa soglia.
Al contrario, il finanziamento a carico di privati fa sì che i partiti si impegnino a tutelare o a promuovere gli interessi dei loro finanziatori: in quanto è assolutamente utopico e fuori dal mondo pensare che un privato, che sia un singolo cittadino molto ricco o una lobby, eroghi una certa somma (più o meno ingente) senza chiedere nulla in cambio. In tal caso, la volontà dell'elettore è minata: in quanto i partiti non devono rispondere soltanto ai loro elettori, ma anche (e soprattutto) ai finanziatori, che sicuramente hanno interessi che non collimano con quelli della collettività (si pensi alle multinazionali e alle compagnie petrolifere che finanziano i partiti americani).
Sia chiaro: se si aboliscono i finanziamenti pubblici, la democrazia si ritrova alla mercè dei potenti e dei ricchi. Con buona pace degli elettori, che non hanno alcuna garanzia di tutela dei propri interessi. Non che ciò avvenga automaticamente in caso di finanziamento pubblico ai partiti, ovvio: ma sicuramente si elimina la necessità di finanziamento a carico di privati, con tutti i rischi che comporta. In altri termini, non ci troviamo automaticamente nella migliore situazione possibile: ma si elimina un pericolo di peggioramento della situazione attuale.
Non bisogna neppure dimenticare che, in una società mediatica come la nostra, la disponibilità economica di un partito determina il suo spazio pubblicitario e mediatico: gli ultimi decenni dimostrano che l'equazione "spazio in televisione = consenso elettorale" è una triste realtà, e che bisogna far sì che la ricchezza personale non sia una facile strada alla vittoria politica.

Troppo spesso i cittadini dimenticano una cosa importantissima: i partiti devono rendere conto ai propri finanziatori, e nel caso del finanziamento pubblico non è soltanto lo stato l'entità cui essi devono rendere conto, ma i cittadini nella loro totalità: perchè ciò che chiamiamo "stato" non è altro che una macchina che si regge grazie al loro contributo fiscale. Dovendo tutelare gli interessi del proprio finanziatore, lo stato, i partiti non devono far altro che tutelare l'interesse dei propri elettori.

Tutt Corte di Cassazione, finalizzata pratica ci rivela una realtà fatta di tesorieri che si intascano ingenti somme, con la quasi sicurezza dell'impunità. Tuttavia, convinto della utilità civile del finanziamento pubblico ai partiti, provo a delineare la mia proposta:

- sistema di finanziamento con contributi sia pubblici sia privati; per quanto riguarda i contributi pubblici, essi devono essere contenuti (stabiliti per legge entro un certo "tot"), e devono servire al pagamento delle spese elettorali e dei funzionari di partito. Essendo "contenuti" (nell'ordine, mettiamo, di qualche milione di euro) i partiti si trovano costretti a non sperperarli in consulenze inutili e in una "architettura" di partito vasta oltre il necessario; le spese devono essere rendicontate in maniera trasparente e devono essere "appese" on-line, consultabili in ogni momento. Per quanto riguarda i finanziamenti privati, essi devono essere in proporzione molto inferiori ai contributi pubblici (dell'ordine, diciamo, del 20% massimo): così da fargli avere una importanza relativa e non decisiva ai fini della potenza mediatica dei partiti; devono essere pubblici, rendicontati in maniera trasparente, online e consultabili in ogni momento, così che il cittadino sappia in ogni momento quali interessi economici ci sono (eventualmente) dietro un partito.
Istituzione di una commissione con il potere di controllo dei conti, costituita per quattro sesti da magistrati (membri della Corte dei Conti, del Consiglio Superiore della Magistratura, del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione), per un sesto da esponenti dei partiti (così che essi si possano controllare reciprocamente) e per un sesto da esponenti della società civile eletti direttamente dai cittadini. Tale commissione ha il compito di controllare l'operato dei partiti, e soprattutto di verificare se essi abbiano ricevuto dei finanziamenti privati occulti: in tale caso, si procede alla revoca della totalità dei contributi del partito in questione per tutta la durata della legislatura.



Lettera aperta al Movimento 5 Stelle




Ho 21 anni, sono uno studente universitario ed un elettore del Partito Democratico.

Vi chiedo di leggere questa lettera, per intero, senza pregiudizi: eventuali giudizi potrete emetterli dopo aver letto l'ultima riga, ed anzi: vi prego di farlo, vi prego di riflettere sulle mie parole e di dire cosa pensate al riguardo.

Su tutti noi, a prescindere dal credo politico e dal movimento/partito votato, incombe un destino comune: l'Italia si gioca, con questa legislatura, le ultime chances di sopravvivenza come paese democratico e civile. Questo destino non investe soltanto coloro cui abbiamo delegato la nostra rappresentanza, ma tutti quanti, cittadini operai e cittadini dirigenti, studenti e professori, gestori di bar e venditori porta a porta. E' un destino comune, che troppo spesso, presi dalle polemiche elettorali, dimentichiamo: e così finiamo per innalzare dei muri tra di noi, muri che ci crollano addosso non appena il terremoto delle conseguenze si abbatte sulla società intera.

Questo destino comune ci chiama, tutti quanti, ad una grande responsabilità: la responsabilità del dialogo. Dobbiamo riabituarci a discutere, a parlare di qualsiasi tema senza preconcetti: dobbiamo tornare a considerare ognuno di noi come fatto della stessa carne e dello stesso sangue, come portatore delle medesime esigenze politiche e degli stessi bisogni immediati: dobbiamo tornare a concepire ciascuno di noi come appartenente alla stessa collettività, collettività che ha impegni comuni ed è esposta alle medesime conseguenze.

Dobbiamo riabituarci a dialogare, senza muovere da punti che consideriamo fissi e di cui abbiamo certezza assoluta: soltanto in questo modo potremo tornare a camminare sul sentiero che conduce ai progetti collettivi, alle soluzioni condivise, e di qui al benessere della collettività.

La responsabilità del dialogo riguarda tutti, che si voglia o no. La responsabilità del dialogo riguarda tutti, che se ne sia consapevoli o no. Di questa responsabilità dobbiamo farci carico, ognuno nella propria (piccola o grande che sia) sfera di esistenza quotidiana: con i propri familiari, con i propri vicini, con i propri colleghi di lavoro (per chi, un lavoro, lo ha), ma soprattutto nei luoghi della rappresentanza politica. Soltanto di qui passa la strada per un nuova Italia. Io, nel mio piccolo, scrivo questa lettera: sperando di smuovere qualcosa nell'intimo di ciascuno di voi.

Queste sono considerazioni che coinvolgono tutti, ovviamente: elettori di centrodestra (di cui, purtroppo, in questi anni dobbiamo constatare la mancanza morale e civile), elettori di centrosinistra, elettori del Movimento 5 Stelle. Ma riguardano soprattutto voi appartenenti al Movimento 5 Stelle (non mi piace chiamarvi, "grillini", come fanno in molti: trovo che sia un termine dispregiativo, mentre al contrario ognuno di voi ha una testa ed una capacità critica autonoma): voi che avete dimostrato una rabbia politica ed una passione per il rilancio di questo Paese senza limiti e senza eguali. Proprio voi che siete animati da questo impeto e che avete reso possibile un cambiamento radicale della società italiana, dovete sentire sulla vostra pelle il peso della responsabilità che ci accomuna.

Questi sono giorni di fuoco. In queste settimane si deciderà il futuro del Paese: e per la prima volta, da venti anni a questa parte, in parlamento c'è una maggioranza di eletti che ha come fine primario il rilancio economico, sociale e morale dell'Italia. E non parlo soltanto degli eletti del PD e di SEL, attenzione: parlo dei parlamentari del PD, di SEL e del M5S insieme.

Molto spesso sono piovute critiche sul vostro modo di condurre la campagna elettorale, senza un dibattito dialettico, e sugli slogan principali: "tutti a casa", "siete tutti uguali". Sono critiche che in parte condivido, e che mi hanno portato a votare per un partito che muove da istanze politiche molto simili alle vostre ma che è basato su una maggiore dialettica democratica. Ma su questo spenderò poche parole: vi basteranno 5 minuti di riflessione per notare non solo le differenze che intercorrono tra persona e persona, ma anche tra i vari schieramenti politici. Questa consapevolezza, delle differenze che esistono (perché esistono!), è un percorso di riflessione individuale: non passa attraverso la persuasione altrui, e perciò su questo non spenderò altre parole, perché il punto che mi preme è un altro.
BersaniVendola3
Il punto che mi preme affermare è questo: dobbiamo tornare a concepire noi stessi non come appartenenti ad una fazione politica, ma come cittadini che condividono le stesse esigenze e gli stessi bisogni. In parlamento, è vero, si fronteggiano parlamentari del PD-SEL e parlamentari del M5S: ma chi, in realtà, si fronteggia, siamo io e voi, voi del Movimento 5 Stelle e noi votanti/militanti di PD e SEL. Siamo noi, noi tutti, che ci guardiamo negli occhi: non poche centinaia di deputati e senatori, ma milioni di cittadini che hanno la stessa difficoltà ad arrivare a fine mese, che soffrono l'aria resa irrespirabile da 20 anni di malgoverno di Berlusconi, che sentono dentro di sé una profonda voglia di rinnovamento, che passa su temi condivisi: lotta alla corruzione, alla illegalità, all'evasione fiscale, e così via.

Quando affermate che "tutti sono uguali", riferendovi ai vostri avversari politici, probabilmente cogliete nel segno un aspetto del malgoverno degli ultimi decenni: ma chi avete davanti a voi, in questo momento, siano essi parlamentari di PD-SEL o cittadini qualunque, condividono con voi la stessa volontà di cambiamento.

Bersani ha "tratto il dado": vi ha consegnato la possibilità di collaborare ad un progetto di cambiamento e di rinnovamento radicale. E, attenzione: non è Bersani che lo ha fatto, ma i milioni di elettori di Italia Bene Comune che la pensano in questo modo. Nessuno di noi vuole "governissimi", ma collaborare con chi ha la voglia di rinnovare. Questo lo dovete avere ben chiaro: i milioni di cittadini che hanno votato PD e SEL vi stanno tendendo una mano, per camminare insieme nel sentiero della rinascita civile e sociale.

Elettori del Movimento 5 Stelle, siete chiamati ad una grande, grandissima responsabilità: se scegliere di proseguire nella strada della contrapposizione polemica, che ha fatto la vostra fortuna e che certo vi porterà a crescere ancora, o decidere di collaborare, in una posizione di forza, perché così ha deciso il voto.

Ognuno di voi rifletta in piena autonomia, ma rifletta: dalla vostra decisione come singoli passa non soltanto la decisione del vostro movimento, ma il destino dell'Italia. Dovete essere fieri di essere investiti di questa responsabilità: voi avete la possibilità di decidere il futuro di questo paese, se indirizzarlo verso un default finanziario e riconsegnarlo ad una destra arraffona e corrotta, oppure decidere di rinnovare radicalmente il sistema insieme a chi vi ha porto la mano, condividendo con voi le stesse esigenze.

Quando parlo di collaborazione, non siete voi che collaborate con noi, o noi con voi: ma noi, tutti quanti, milioni di votanti PD-SEL e M5S, che lavorano insieme (cos'altro è il significato di "collaborazione", se non questo?).

La polemica e la protesta sono la necessaria "pars destruens" di ogni grande cambiamento. Ma non bastano, il cambiamento richiede anche il momento della costruzione propositiva. E questo momento è finalmente arrivato. A voi la scelta.

Grazie dell'attenzione, cordiali saluti

Niccolò Biondi

domenica 31 marzo 2013

La mentalità del grillino medio - "PD = PDL"




Il Movimento 5 Stelle, come ogni movimento populista che si rispetti, vive di slogan e di “frasi fatte”: concetti che, per quanto parzialmente corrispondenti alla realtà delle cose, trovano espressione in affermazioni assolutamente semplicistiche che rischiano di scollegare le persone dai fatti, distruggendo la possibilità di una dialettica civile con chi ha posizioni diverse.

Le parole, lungi dall’essere semplici veicoli di significato, sono pesanti come macigni: una volta che un modo di dire si è affermato e si diffonde nella società, porta ad una modificazione dapprima della coscienza individuale (tradotto: le idee in merito alla realtà cambiano), poi della realtà stessa: pesanti come macigni, le parole (non importa quanto corrispondenti al vero: è sufficiente che siano martellanti, che si diffondano come un mantra divenendo meccanicamente modalità di pensiero) sono in grado di sconquassare una società nelle sue fondamenta.
Portiamo due semplici esempi: i termini “negro” ed “ebreo”. Entrambi i termini, originariamente “neutri” (in quanto applicati convenzionalmente a determinate “entità”, il primo a individui di pelle scura, il secondo ai seguaci di un certo credo religioso), hanno avuto una modificazione di significato ad opera di logiche demagogiche (rispettivamente schiavismo e nazismo) finalizzate a declassare, disumanizzare ed infine distruggere le entità di riferimento (per inciso: con”entità di riferimento” intendiamo ciò cui una parola si rivolge, l’oggetto che vogliamo indicare quando la usiamo).
Il meccanismo di distorsione del significato è lo stesso: “negro” (dal latino “niger”, “nero”) inizialmente designava persone dalla pelle scura, e nient’altro: era dunque una parola, politicamente neutra, che si proponeva di descrivere i tratti somatici ed il colore della pelle di una classe di individui. In seguito alla nascita del termine, tuttavia, ha assunto anche curvature peggiorative di significato: da semplice “individuo di pelle scura”, “negro” voleva dire “individuo inferiore, essere umano residuale da utilizzare come strumento”; e i milioni di schiavi africani deportati nelle piantagioni americane dimostrano che non si tratta soltanto di un fenomeno semantico (attenzione: gli schiavisti si sentivano perfettamente legittimati a farlo, in quanto il “negro” era ormai diventato una bestia da soma, nella mentalità comune).
Un discorso analogo si può fare riguardo al termine “ebreo”. I gerarchi nazisti non provavano alcun rimorso, né si ponevano alcuna questione morale, riguardo allo sterminio da loro perpetrato: perché, semplicemente, di “sterminio” non si trattava, nella loro mentalità, ma di semplice “pulizia etnica”: l’ebreo non era più concepito come un individuo appartenente ad un credo diverso, ma come un parassita della società da eliminare (giustamente, nella mentalità nazista). E’ lampante (tristemente lampante) come una medesima realtà (l’uccisione coatta di milioni di ebrei) appaia in maniera differente a seconda della prospettiva da cui si guardi: sterminio da un lato, pulizia etnica dall’altro. Ancora più triste (anzi: desolante, e per molti incomprensibile) il fatto che milioni di tedeschi abbiano compiuto ciò che hanno compiuto senza curarsi minimamente delle proprie azioni: l’omicidio di massa era ormai divenuto, nella mentalità comune, un compito da svolgere, un ordine da eseguire; Eichmann, il gerarca nazista processato a Norimberga, descrive se stesso come un “semplice funzionario”. Come può un omicida seriale avvertire se stesso come un “semplice funzionario”? E’ evidente che deve essere occorso un cambiamento radicale, nichilistico, di mentalità; da dove questo cambiamento di mentalità? Dall’uso delle parole, che dal 1933 bombardavano i tedeschi con messaggi del tipo “vi distruggeremo tutti”, “i parassiti ebrei devono essere sterminati”. Un bombardamento delle coscienze che ha obnubilato la possibilità del giudizio morale, di distinzione tra giusto e sbagliato, da parte non solo degli ufficiali del partito, ma anche delle persone “normali”: persone come me che scrivo, come voi che leggete. Il nichilismo nazista, con il deserto della coscienza che si porta dietro, è una possibilità che risiede in ogni società: è un pericolo da cui difendersi, attraverso la consapevolezza.

Probabilmente vi starete chiedendo il perché di questa lunga premessa. Vi rispondo immediatamente: la storia delle idee ci insegna che il significato delle parole non è statico, ma si modifica continuamente; e che quando ciò succede, a modificarsi è bensì la mentalità delle persone: e che il passo successivo è un cambiamento radicale della realtà, cambiamento che (nei due casi sopra elencati) ha portato a stragi e stermini che l’essere umano non si pulirà mai di dosso.
Tutto ciò per dire: attenzione, le parole sono pericolose, soprattutto se urlate; e ancora più pericolosi sono i capi del popolo che modificano i loro significati all’insaputa dei diretti interessati: un semplice termine, utilizzato in modo leggermente diverso, può causare i disastri che la storia ci ha tramandato.

Il caso del Movimento 5 Stelle è paradigmatico: stiamo assistendo ad una sistematica e probabilmente inconsapevole distorsione dei significati; e, di conseguenza, della realtà.
In questo post, il primo di una lunga serie (speriamo), ci dedicheremo ad analizzare quella che forse è la più “celebre” affermazione del grillino medio, affermazione ripetuta come un mantra in innumerevoli commenti sui vari blog collegati a quello di Beppe Grillo:

“siete tutti uguali, PD = PDL, non c’è alcuna differenza tra i vari partiti politici”.

Innanzitutto ci chiederemo quale sia il reale significato di questa affermazione; in secondo luogo, se essa sia fondata, e in caso di risposta affermativa, quale fondamento abbia; infine, valuteremo se abbia una portata maggiore di quella che intende avere, e in caso di risposta affermativa, se tale portata sia positiva o meno per la società.

(P.S. Quando uso l’espressione “grillino medio” lo faccio senza alcun intento discriminatorio o offensivo: intendo semplicemente individuare il “tipo” dell’elettore medio del Movimento 5 Stelle, una sorta di minimo comun denominatore delle idee dei vari elettori: e intendo farlo senza alcun giudizio morale, ma semplicemente sulla base dei commenti leggibili qua e là su internet).

Partiamo dal significato che emerge dalla suddetta affermazione: “tutti i partiti politici sono la stessa cosa” nel senso che non vi è alcuna differenza tra di essi. Benissimo, direte voi: niente di più chiaro. Quando il grillino medio la pronuncia, probabilmente coglie nel segno una delle caratteristiche della politica degli ultimi decenni: il fatto che i partiti che si sono succeduti nei vari schieramenti hanno dato vita ad un sistema di rimborsi e di sperperi finalizzato all’arricchimento dei membri. Come dargli torto? Stipendi altissimi in relazione allo stipendio medio di un cittadino comune, ma soprattutto rispetto a quelli dei parlamentari degli altri Stati europei (è sufficiente guardare le tabelle che si trovano cercando su google); rimborsi elettorali di svariati milioni di euro; un meccanismo di rimborsi spese assolutamente non trasparente che ha dato vita ai vari casi Lusi e Fiorito; tutta una serie di leggi, ottenute attraverso uno scambio reciproco di voti, che hanno fatto gli interessi dei vari schieramenti; e così via.
I partiti politici attuali, nella mentalità del grillino medio, sono nient’altro che una continuazione diretta dei partiti che li hanno preceduti: nessun ricambio generazionale, stesse facce, soliti fondoschiena sulle solite poltrone: un sistema finalizzato alla promozione dei propri interessi, a discapito di quelli dei cittadini, che si perpetua.
Quando afferma che “PD = PDL”, il grillino medio vuole dire che Partito Democratico e Popolo della Libertà (ed i loro predecessori) hanno dato vita ad un sistema che gli garantiva (e gli garantisce) alternanza di poltrone e di emolumenti: un sistema, cioè, in cui i due partiti non possono fare a meno del rivale, in quanto dallo scontro frontale con l’altro derivava il proprio consenso elettorale (paura dei “comunisti” da un lato, timore di una dittatura berlusconiana dall’altro). La scena politica, passata e presente, si configura per il grillino medio come una sorta di farsa teatrale, in cui gli attori inscenano divergenze che coprono una comunanza di interessi personali.

Dalla presa di coscienza di questa identità di comportamento collettivo (dove il termine “collettivo” si riferisce ai membri dei partiti) il grillino medio arriva alla conclusione che “tutti i partiti politici sono la stessa cosa”.
Questo è il fondamento, nella prospettiva del grillino medio, della suddetta affermazione. Bisogna valutare se tale fondamento sia “fondato” (perdonate il gioco di parole): cioè, se tale fondamento corrisponda alla realtà delle cose, ovvero a ciò che è effettivamente avvenuto nel mondo della politica negli ultimi decenni ed a ciò che attualmente avviene.

Una cosa è innegabile: i vari partiti si sono costruiti un “ambiente” ideale alla promozione dei propri interessi. Tuttavia, opinabile è la convinzione dell’identità di misura in cui essi hanno fatto ciò: è tutto da dimostrare, cioè, che i vari partiti abbiano la stessa responsabilità e che abbiano concorso nello stesso identico modo (perché questo significa l’affermazione “PD = PDL”) alla costruzione di tale “ambiente”. Affermare ciò, è affermare qualcosa di “forte”: prima di farlo, ognuno dovrebbe nella propria coscienza valutare se si è informato adeguatamente, se ha controllato l’effettivamente se le cose stanno come crede. Non è qui il luogo per valutazioni di questo tipo: ognuno è nelle possibilità di farlo, occorre soltanto un pò di fatica: ricercare su internet, informarsi, stando attenti alla “imparzialità” delle fonti cui si attinge. Non è un lavoro semplice, data la parziale impossibilità di valutare le fonti: tuttavia, se si vuole avere un giudizio il più lucido possibile e il più scevro da preconcetti sulla realtà, è necessario andare in questa direzione. Non se ne esce: il cittadino maturo deve svolgere questo compito per quanto gli è possibile: altrimenti avrà inevitabilmente una posizione a proposito della realtà non solo non veritiera, ma soprattutto alla mercè di chi ha interesse a veicolare certe concezioni della società.

Il grillino medio, dunque, coglie parzialmente nel vero quando afferma l’identità di PD e PDL: coglie nel vero nella misura in cui sostiene che, dato un sistema autoreferenziale finalizzato alla promozione dei propri interessi, i vari partiti ne hanno usufruito; non coglie tuttavia nel vero, o almeno lo afferma ingiustificatamente, quando sostiene che i vari partiti ne hanno usufruito nello stesso identico modo, ossia nella stessa identica misura. Per avere un giudizio lucido a proposito occorrerebbe valutare caso per caso, ossia non limitarsi a generiche affermazioni “tutti i partiti hanno fatto i propri interessi nello stesso modo”, ma prendere in considerazione le varie possibilità di promozione degli interessi personali (meccanismo dei rimborsi elettorali; attuazione di leggi ad personam; e così via) e valutare se i partiti ne hanno approfittato nella stesso identica misura.
La sensazione è che la quasi totalità degli elettori pentastellati non abbia mai fatto un lavoro di questo tipo. Senza scendere nei dettagli e senza valutare in profondità le questioni non si può che avere una concezione “piatta” della realtà politica: e non possono che conseguire affermazioni semplicistiche e retoriche della serie “tutti i partiti sono uguali”.

Veniamo ora all’ultimo “punto”: valutiamo se questo modo di pensare l’identità dei vari partiti politici come totale e “perfetta” abbia una portata che a prima vista sembra non avere; e valutiamo se sia positiva o negativa per la società.
I partiti politici, a dispetto di quanto si legge nei commenti dei blog a 5 Stelle, sono portatori di istanze politiche profondamente diverse. Questo è un dato innegabile, che neanche la più spiccia e tartassante demagogia più cancellare: se prendiamo in considerazione PD e PDL, ad esempio, noteremo come abbiano idee sulla società, sulle politiche energetiche, sulle politiche sociali, sull’idea di Europa (e così via), radicalmente diverse. Non sto a elencare i programmi dei due partiti: è sufficiente che guardiate su google, la differenza è evidente.
Tuttavia, il grillino medio sembra ignorare l’esistenza di tale differenza quando afferma “PD = PDL”: sembra (almeno apparentemente) non notare la differenza che c’è tra chi propone leggi contro la corruzione, l’evasione fiscale, il falso in bilancio (PD) e chi invece tali reati li ha depenalizzati, sia attraverso una riduzione delle pene, sia attraverso un accorciamento dei termini di prescrizione (PDL); tra chi propone politiche energetiche basate sulle energie rinnovabili (PD) e chi invece ha tentato di ritornare al nucleare (PDL); tra chi propone l’estensione dei diritti politici e civili a maggiori fasce di popolazione (PD, rispettivamente ai figli di immigrati e alle coppie di omosessuali) e chi invece ha istituito centri per l’internamento e l’espulsione degli immigrati ed ha ostacolato in parlamento (votando contro) leggi contro l’omofobia (PDL); potrei continuare, mi fermo qui: lascio a voi il compito di verificare tutto il resto delle proposte differenti.
Se dal piano delle proposte programmatiche ci eleviamo al piano delle ideologie e delle concezioni (del mondo, della società) che le ispirano, le differenze si fanno ancora più evidenti: sulla falsariga di quanto sopra, abbiamo da una parte un partito (PD) che si ispira ad una visione del mondo e della società basata sul rispetto e la salvaguardia dell’ambiente, sulla universalità dei diritti, sulla promozione della legalità; dall’altra, un partito (PDL) che subordina la salvaguardia della natura alla logica della funzionalità e del profitto, che estromette una parte della popolazione (gay e figli degli immigrati) dalla sfera dei diritti sulla base di considerazioni ideologico-religiose, che nelle precedenti legislature ha votato leggi che depenalizzano l’illegalità.

Quando il grillino medio afferma l’identità totale di PD e PDL, non sta soltanto esprimendo il concetto che tutti i partiti hanno avuto un comportamento istituzionale non adeguato, che hanno “inciuciato” (secondo un termine caro ai pentastellati) e che hanno approfittato di un sistema favorevole all’arricchimento del “politico”, ma anche (probabilmente a sua insaputa) che le proposte e le diverse ideologie che le ispirano sono la stessa cosa. Il che equivale a dire che non esiste alcuna ideologia, che non ci sono differenti visioni del mondo, e che soprattutto le differenti visioni del mondo non sono promosse dai diversi partiti.
Il che non solo è falso, in quanto differenti proposte di legge sono ispirate a diverse concezioni della società e del mondo (pensiamo ad esempio al taglio di 7 miliardi dei finanziamenti alla scuola pubblica da parte del ministro Gelmini, PDL, che sottende una logica finalizzata alla promozione del privato; oppure alla tassa patrimoniale, che è finalizzata ad attingere fondi dalle classi sociali abbienti, manifestando una volontà di tutela nei confronti di chi ha meno), ma anche molto pericoloso: quando si fa piazza pulita dei valori e delle concezioni del mondo, tutto può accadere. “Se Dio è morto, tutto è lecito” afferma l’Ivan Karamazov di Dostoevskij; e se i nazisti fecero ciò che fecero, fu possibile soltanto sulla base di una distruzione del panorama dei valori dei tedeschi, incapaci di realizzare nella propria coscienza che sterminare una popolazione fosse sbagliato, profondamente sbagliato

Lungi da noi, ovviamente, paragonare l’opera del Movimento 5 Stelle ad un omicidio di Dio, o alla pratica nazista: ma è necessario mettere in guardia che, se si riduce l’universo dei valori e delle ideologie (che non sono crollate con il muro di Berlino, ma permangono tuttora, e fortunatamente) ad un cumulo di macerie, l’edificio che in futuro vi verrà costruito sopra potrebbe non essere quello la gente si aspetta e di cui la società ha bisogno.

E se davvero il grillino medio fosse convinto che le ideologie sono indifferenziate, o che (peggio) non esistono, e stesse perseguendo con piena consapevolezza e convinzione questa opera di demolizione? In questo caso, starebbe mentendo a se stesso: perché gran parte delle proposte del Movimento 5 Stelle sono “politiche”, nel senso che sono ispirate ad una visione ben precisa della società: il salario minimo garantito, lo stop alle grandi opere, l’abolizione del potere esecutivo sono proposte pienamente politiche, che corrispondono alla applicazione di una particolare ideologia, benché quest’ultima non sia inquadrabile in nessuno schema del passato.
Il fatto che il Movimento 5 Stelle abbia una propria ideologia, inedita e diversa da quella degli altri partiti, è cosa perfettamente normale: ciò che “normale” non è (“normale” rispetto ai meccanismi della democrazia parlamentare) è che tale ideologia si sottragga sistematicamente al confronto con le altre. Se la logica del “non facciamo nessun accordo” è perfettamente legittima e giustificata, quella del “non mandiamo i nostri militanti in tv, non ci esponiamo a domande e al confronto” rientra in un meccanismo di delegittimazione dell’altro: se non ci si espone al confronto, implicitamente si afferma la non legittimità del punto di vista altrui.

Ciascuno si dovrebbe chiedere se tale delegittimazione e tale rifiuto del confronto siano fecondi o dannosi per la società: non è in questione il fatto che tale modo di porsi sia giusto o sbagliato, e non siamo qui a dare giudizi morali. Il giudizio che è necessario formulare, è se tale modalità sia o no utile al giusto funzionamento della società.
Bisogna che ogni cittadino ne sia consapevole: tale delegittimazione del punto di vista altrui è la base di partenza, nonchè il presupposto fondamentale, di ogni fenomeno totalitario e dittatoriale.
Il grillino medio, probabilmente senza rendersene conto, si fa veicolo di una istanza politica anti-democratica proprio nel momento in cui afferma di voler istituire una democrazia diretta: applausi alla demagogia mistificatoria di Beppe Grillo, capace di orientare lo sguardo dei cittadini in una direzione, mentre li conduce in quella opposta.